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L’ultimo ricordo è la mano del suo Emilio che la spinge via, lontano dalla morte. Poi un botto, il rumore di lamiere contorte, il buio. Fino al giorno dopo, quando un medico del Giovanni Bosco l’ha svegliata, dolorante e ferita. Ma viva, anche se sola. Emilio Costa, il suo Emilio, l’uomo che Feresete “Caterina” Kasaj amava da vent’anni e che dall’anno scorso era diventato anche marito, non ce l’ha fatta.
E’ morto in un altro ospedale, al Cto. E lei ha firmato, si è fatta dimettere. «Perché volevo vederlo ancora una volta, perché non potevo lasciarlo là da solo». E’ disperata Caterina, 35 anni, ha bende su tutto il corpo.
E dell’incidente che l’ha fatta vedova ricorda pochissimo. «Passeggiavamo con il nostro cane in via Bologna, abbiamo visto un’auto che sbandava, a folle velocità, ha zigzagato diverse volte, poi ci è venuta addosso».
L’istinto di Emilio, 61 anni, è stato più veloce del bolide. «Mi ha spinto via – ricorda la moglie tra le lacrime – ma lui non ce l’ha fatta». La Bmw guidata da un 36enne che poi è risultato positivo all’alcoltest l’ha centrato in pieno, senza lasciargli scampo. «Era un uomo adorabile – ricorda ora Caterina – e me l’ha portato via, per sempre. Ho perso tutto. Tutto. E l’ho perso per colpa di uno che guidava ubriaco e che quando si è accorto di quello che aveva fatto se n’è andato, lasciandoci lì come due cani». Il loro, di cane, dopo lo schianto è corso via.
E’ tornato a casa, nella comunità alloggio in cui la coppia viveva dopo lo sfratto e altre mille peripezie. L’ha trovato un’amica, che poi si è messa sulle tracce di Emilio e Caterina, li ha cercati per tutta la notte. «Eravamo tra gli occupanti di via Pinelli – spiega Caterina -, ma ci hanno mandato via anche da lì».
E il Comune ha trovato loro una sistemazione in zona Regio Parco, poco lontano dal luogo in cui si è consumata la tragedia. Nell’occupazione di via Pinelli, tra i “senza casa”, è nata una solidarietà che ora si esprime con la vicinanza a Caterina, che adesso – se non altro – può contare sull’aiuto delle amiche.
«Ma Emilio non c’è più, niente può ridarmelo. E sapere che l’uomo che l’ha investito e poi è scappato il giorno dopo era a casa sua, tranquillo davanti alla tv, fa male.
Non è giusto – attacca – questa non è giustizia. Quella persona deve stare in carcere. Non è possibile che chi va in giro ubriaco rischiando di uccidere le famiglie sia libero. Pretendo che venga fatta giustizia, altrimenti me la farò da sola».
Di Stefano Tamagnone (TORINO CRONACA QUI)
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